Venerdì 24 maggio 2013 a Quito,Rafael Correa si è insediato per la terza volta alla presidenza dell’Ecuador.
Il giorno prima a Cali,ilsettimo vertice dei presidenti dell’Alleanza del Pacifico[Ap] ha ratificato la decisione di liberalizzare il 90% del commercio interno a partire dal prossimo 30 giugno e di andare verso la soppressione dei visti. Inoltre, ha accolto il Costa Rica come quinto membro accanto a Messico, Perù, Cile e Colombia, ricevuto per la prima volta i rappresentanti di paesi osservatori come Spagna, Guatemala e Canada e ospitato un forum di 400 imprenditori.
In teoria, i due eventi non erano in contrapposizione. Il presidente cileno Sebastián Piñera, quella del Costa Rica Laura Chinchilla e il colombiano Juan Manuel Santos sono anzi passati direttamente da Cali a Quito: i primi due viaggiando con lo stesso aereo.
Appena arrivato,Piñera ha anche dato il suo “cordiale benvenuto all’Ecuador,che si è incorporato come membro osservatore dell’Alleanza del Pacifico. L’Ecuador è un paese che appartiene al Pacifico e lo riceviamo a braccia aperte nell’Alleanza del Pacifico”.
La scelta di Correa di entrare nell’Ap è stata presadopo aver deciso di non entrare nel Mercosursulla base della vocazione geopolitica del paese verso il Pacifico. D’altra parte, il dinamismo dell’area in questo momento è l’elemento che accomuna le buone performance economiche sia dell’Ecuador sia dei paesi dell’Alleanza.
Quito è stata in effetti riconosciuta daAngela Merkel come un “giaguaro latinoamericano”e Correa ha avuto buon gioco nel ricordare che il suo, secondo l’Onu e la Cepal, è uno dei tre paesi della regione che è riuscito a ridurre la povertà dal 37,6 al 27,3%, e la povertà estrema dal 16,9 all’11,2% della popolazione.
Nel suo discorso, il presidente ha affermato che l’Ecuadortra 2006 e 2012 si è classificato quarto per crescita in termini di sviluppo umano in una lista di 186 paesi e che il suo pil è aumentato a una media del 4,3% all’anno contro il 3,9% regionale, malgrado la crisi del 2009 e senza avere moneta nazionale. La disoccupazione è scesa al 4,1%, la previdenza è divenuta efficace e “per la prima volta il reddito di una famiglia ecuadoriana permette di coprire le necessità basilari di consumo”.
I cittadini gliene danno atto:a parte l’ampia vittoria alle ultime elezioni,col 57,1% dei voti e 100 deputati su 137, l’indice di popolarità di Correa oltrepassa il 63% (secondo alcuni sondaggi arriva all’86).
L’Alleanza del Pacifico, i cui presidenti si sono presentati a Cali senza cravatta per rappresentare lo spirito di un’iniziativa dinamica e non «ingessata”, rappresenta 200 milioni di persone, un terzo del pil latinoamericano e il 50% del suo commercio. Tuttavia, nel discorso con cui Santos ha ricevuto la presidenza di turno dell’Ap non è mancato un forte riferimento al fatto che i paesi membri credono in valori come lo stato di diritto, la separazione dei poteri, la bontà del libero commercio, il rispetto della proprietà privata.
Correa invece ha promesso di approfondire la “rivoluzione cittadina”; ha lanciato duri attacchi alla stampa di tutta la regione, all’Osa e alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani; ha criticato l’embargo a Cuba; ha rivendicato la sovranità argentina sulle Falkland Malvinas; ha difeso l’amicizia tra Ecuador e Iran; ha esaltato il ricordo di Néstor Kirchner e Hugo Chávez.
Qualcuno ha letto in questi slogan la conferma del fatto che Correarivendicherebbe l’eredità di Chávez come leader del blocco dei governi latinoamericani di sinistra più radicale: anche se nel suo caso si tratta di un radicalismo che in campo economico si tinge di efficientismo e pragmatismo. Bisogna rilevare che le minacce autoritarie del progetto di accumulazione dei poteri a spese di giudiziario e legislativo che gli viene attribuito dagli oppositori, la paventata “Legge Mordacchia” da imporre alla stampa e la riforma del codice penale – misure potenzialmente limitative di certe forme di dissenso – trovano un temperamento nella promessa di Correa di rispettare il divieto costituzionale di ricandidarsi al termine di questo mandato.
Insomma, la convergenza economica si scontra con una marcata divergenza di prospettivepolitiche e geopolitiche, che il crescente pragmatismo delle relazioni regionali tende a nascondere per il breve periodo, ma senza in realtà annullarle.
È il tema di cui abbiamo spesso parlato, della contrapposizione trale tre Americhe Latine:monroiana, chavista e lulista. Se è vero che si stava delineando unaintegrazione tra la seconda e la terza, nondimeno oggi si sta consolidando la prima con l’Alleanza del Pacifico. Tuttavia l’economia, malgrado la politica, tende ad avvicinare l’Ecuador ai monroiani e ad allontanarlo da Bolivia e Venezuela.
Mentre Correa veleggia a livelli di popolarità spettacolari, il presidente boliviano Morales negli ultimi tempi affronta un rovescio dietro l’altro.È vero che il 15 maggio la Camera dei deputati ha approvato la legge che gli consentirà di candidarsi per un terzo mandato; il Tribunale costituzionale aveva già convenuto che il limite costituzionale di due mandati non si applichi al suo primo mandato, che si svolse con la Costituzione precedente. È pure vero che, stante le divisioni dell’opposizione, molto probabilmente Morales sarà rieletto.
Tuttavia, per il momento non è riuscito ancora a venire a capo della rivolta sindacalecontro la sua riforma pensionistica; essa, inoltre, è una drammatica ammissione di fallimento rispetto all’esempio di “avanguardia mondiale” che Morales riteneva di aver dato quando nel 2010, mentre il resto del mondo alzava l’età per lasciare il lavoro, aveva annunciato che la Bolivia l’avrebbe abbassata da 60 anni (a sua volta una riduzione rispetto ai 65 dell’anno prima) a 58. Un anno di meno per ogni figlio fino a tre figli per le donne, 55 anni per i minatori, 51 per i minatori che lavorano in condizioni particolarmente logoranti.
Il tutto infischiandosene delle proteste della Confederación de empresarios privados de Bolivia, che avvertiva: “sarà insostenibile”. Tre anni dopo, sono stati invece i lavoratori inquadrati nella Central obrera boliviana (Cob) a protestare, in un contesto di scontro estremo, condito in stile boliviano con attentati dinamitardi e blocchi stradali. Il motivo: il governo non ce la faceva più ad assicurare che le pensioni fossero il 100% dell’ultimo stipendio e ha chiesto di abbassarle al 70%. “Se no”, aveva avvertito l’esecutivo, il modello “sarà insostenibile”. Il 22 maggio la Cob ha infine accettato, a patto che si riducessero gli anni di quotazione: per il momento si tratta solo di una tregua di 30 giorni, in attesa di un’intesa definitiva che potrebbe anche non esserci.
Aneddotica ma a suo modo significativa è la storia della rottura tra Evo Morales e l’attore Sean Penn, nominato lo scorso 30 ottobre “ambasciatore per le cause nobili della Bolivia”. Dopo aver partecipato assieme ai funerali di Chávez, tra i due è finita a insulti dopo che l’attore ha chiesto al Congresso Usa di opporsi all’inclusione della Bolivia nel percorso del prossimo Rally Dakar; il motivo è la detenzione di Jacob Ostreicher, un risicultore statunitense che aveva investito in un importante progetto in Bolivia e che è stato arrestato nel giugno del 2011 per riciclaggio di denaro sporco. Nel dicembre successivo è stato messo ai domiciliari in cambio di 14 mila dollari di cauzione, mentre vari funzionari coinvolti nell’azione contro di lui sono stati arrestati per estorsione. L’imprenditore nega ogni addebito e rimane ancora agli arresti, in attesa del processo. Penn ha detto che “un simbolo di libertà” come il Senegal, la cui capitale dà il nome alla celebre corsa, non deve passare per un paese dove “migliaia di prigionieri” vivono in “condizioni così selvagge che noi possiamo immaginarle solo in un incubo”.
Quanto al Venezuela, la rissa politica in corso nel paesedimostra come la statura dell’opposizione non sia granché superiore a quella del governo. Tuttavia, Maduro sta dimostrando una drammatica incapacità nel ricoprire il ruolo che ha assunto.
Mentre la penuria crescente di prodotti di prima necessitàha obbligato il governo a un tragicomico piano per assicurare ai venezuelani la carta igienica e più sondaggi dimostrano che ora Capriles vincerebbe eventuali nuove elezioni, divampa lo scandaloSilvagate. Mario Silva, l’anchormanpreferito da Chávez,in un audio tirato fuori dall’opposizioneè colto mentre dialoga con un presunto agente cubano della possibilità di un golpe fatto dall’ala militare del chavismo del presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello contro Maduro.
Il conduttore, famoso per inchieste demolitrici di esponenti dell’opposizione- probabilmente erano frutto delle soffiate dei servizi venezuelani e cubani – e per i suoi insulti, ha parlato di “complotto sionista” e “montatura”. Cabello e Maduro hanno sentito l’immediato bisogno di farsi vedere assieme e il programma di Silva, che era il preferito di Chávez, è stato soppresso.
L’opposizione ha annunciato che a breve sarà reso noto un secondo documento,dal carattere ancora più devastante, e che svelerebbe segreti inconfessabili sulla morte di Chávez.
Il governo è nervoso e promette azioni giudiziarie; Ismael García, deputato ex chavista che ha reso noto il video, ha ricevuto delle velate minacce alla propria incolumità fisica; inoltre, Caracas ha annunciato di voler armare “milizie operaie bolivariane”.
L’Alba è così di fatto decapitata, ma anche il Mercosur dopo l’ingresso del Venezuela è contagiato dalla sua instabilità. L’Uruguay vuole entrare a sua volta nell’Alleanza del Pacifico; il Paraguay è tuttora sospeso e tentato dall’Ap; in Argentina Cristina Kirchner festeggia i 10 anni dall’arrivo di suo marito al potere in uno scenario di contestazioni interne, affanno economico e sempre maggior scollamento dai partner del Mercosur.
Insomma, di fronte all’Alleanza del Pacifico restano in pratica solo il brillante Ecuador e il potente Brasile: ma costretti a giocare ognuno per conto proprio.
Per approfondire:L’Alleanza del Pacifico e la vera frattura dell’America Latina
Maurizio Stefanini,giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora conIl Foglio, Libero, Limes, Longitude, Agi Energia. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche. Ha scritto:I senza patria;Avanzo di Allah cuore del mondo. Il romanzo dell’Afghanistan;I nomi del male;Grandi coalizioni. Quando funzionano, quando no;Ultras. Identità, politica e violenza nel tifo sportivo da Pompei a Raciti e Sandri;Il partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e Mauro;Sesso & potere. Grandi scandali di ieri e di oggi. Ha scritto per Il Foglio una biografia di Fidel Castro in cinque puntate e una biografia di Hugo Chávez in venti puntate. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche.
(27/05/2013)
Il giorno prima a Cali,ilsettimo vertice dei presidenti dell’Alleanza del Pacifico[Ap] ha ratificato la decisione di liberalizzare il 90% del commercio interno a partire dal prossimo 30 giugno e di andare verso la soppressione dei visti. Inoltre, ha accolto il Costa Rica come quinto membro accanto a Messico, Perù, Cile e Colombia, ricevuto per la prima volta i rappresentanti di paesi osservatori come Spagna, Guatemala e Canada e ospitato un forum di 400 imprenditori.
In teoria, i due eventi non erano in contrapposizione. Il presidente cileno Sebastián Piñera, quella del Costa Rica Laura Chinchilla e il colombiano Juan Manuel Santos sono anzi passati direttamente da Cali a Quito: i primi due viaggiando con lo stesso aereo.
Appena arrivato,Piñera ha anche dato il suo “cordiale benvenuto all’Ecuador,che si è incorporato come membro osservatore dell’Alleanza del Pacifico. L’Ecuador è un paese che appartiene al Pacifico e lo riceviamo a braccia aperte nell’Alleanza del Pacifico”.
La scelta di Correa di entrare nell’Ap è stata presadopo aver deciso di non entrare nel Mercosursulla base della vocazione geopolitica del paese verso il Pacifico. D’altra parte, il dinamismo dell’area in questo momento è l’elemento che accomuna le buone performance economiche sia dell’Ecuador sia dei paesi dell’Alleanza.
Quito è stata in effetti riconosciuta daAngela Merkel come un “giaguaro latinoamericano”e Correa ha avuto buon gioco nel ricordare che il suo, secondo l’Onu e la Cepal, è uno dei tre paesi della regione che è riuscito a ridurre la povertà dal 37,6 al 27,3%, e la povertà estrema dal 16,9 all’11,2% della popolazione.
Nel suo discorso, il presidente ha affermato che l’Ecuadortra 2006 e 2012 si è classificato quarto per crescita in termini di sviluppo umano in una lista di 186 paesi e che il suo pil è aumentato a una media del 4,3% all’anno contro il 3,9% regionale, malgrado la crisi del 2009 e senza avere moneta nazionale. La disoccupazione è scesa al 4,1%, la previdenza è divenuta efficace e “per la prima volta il reddito di una famiglia ecuadoriana permette di coprire le necessità basilari di consumo”.
I cittadini gliene danno atto:a parte l’ampia vittoria alle ultime elezioni,col 57,1% dei voti e 100 deputati su 137, l’indice di popolarità di Correa oltrepassa il 63% (secondo alcuni sondaggi arriva all’86).
L’Alleanza del Pacifico, i cui presidenti si sono presentati a Cali senza cravatta per rappresentare lo spirito di un’iniziativa dinamica e non «ingessata”, rappresenta 200 milioni di persone, un terzo del pil latinoamericano e il 50% del suo commercio. Tuttavia, nel discorso con cui Santos ha ricevuto la presidenza di turno dell’Ap non è mancato un forte riferimento al fatto che i paesi membri credono in valori come lo stato di diritto, la separazione dei poteri, la bontà del libero commercio, il rispetto della proprietà privata.
Correa invece ha promesso di approfondire la “rivoluzione cittadina”; ha lanciato duri attacchi alla stampa di tutta la regione, all’Osa e alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani; ha criticato l’embargo a Cuba; ha rivendicato la sovranità argentina sulle Falkland Malvinas; ha difeso l’amicizia tra Ecuador e Iran; ha esaltato il ricordo di Néstor Kirchner e Hugo Chávez.
Qualcuno ha letto in questi slogan la conferma del fatto che Correarivendicherebbe l’eredità di Chávez come leader del blocco dei governi latinoamericani di sinistra più radicale: anche se nel suo caso si tratta di un radicalismo che in campo economico si tinge di efficientismo e pragmatismo. Bisogna rilevare che le minacce autoritarie del progetto di accumulazione dei poteri a spese di giudiziario e legislativo che gli viene attribuito dagli oppositori, la paventata “Legge Mordacchia” da imporre alla stampa e la riforma del codice penale – misure potenzialmente limitative di certe forme di dissenso – trovano un temperamento nella promessa di Correa di rispettare il divieto costituzionale di ricandidarsi al termine di questo mandato.
Insomma, la convergenza economica si scontra con una marcata divergenza di prospettivepolitiche e geopolitiche, che il crescente pragmatismo delle relazioni regionali tende a nascondere per il breve periodo, ma senza in realtà annullarle.
È il tema di cui abbiamo spesso parlato, della contrapposizione trale tre Americhe Latine:monroiana, chavista e lulista. Se è vero che si stava delineando unaintegrazione tra la seconda e la terza, nondimeno oggi si sta consolidando la prima con l’Alleanza del Pacifico. Tuttavia l’economia, malgrado la politica, tende ad avvicinare l’Ecuador ai monroiani e ad allontanarlo da Bolivia e Venezuela.
Mentre Correa veleggia a livelli di popolarità spettacolari, il presidente boliviano Morales negli ultimi tempi affronta un rovescio dietro l’altro.È vero che il 15 maggio la Camera dei deputati ha approvato la legge che gli consentirà di candidarsi per un terzo mandato; il Tribunale costituzionale aveva già convenuto che il limite costituzionale di due mandati non si applichi al suo primo mandato, che si svolse con la Costituzione precedente. È pure vero che, stante le divisioni dell’opposizione, molto probabilmente Morales sarà rieletto.
Tuttavia, per il momento non è riuscito ancora a venire a capo della rivolta sindacalecontro la sua riforma pensionistica; essa, inoltre, è una drammatica ammissione di fallimento rispetto all’esempio di “avanguardia mondiale” che Morales riteneva di aver dato quando nel 2010, mentre il resto del mondo alzava l’età per lasciare il lavoro, aveva annunciato che la Bolivia l’avrebbe abbassata da 60 anni (a sua volta una riduzione rispetto ai 65 dell’anno prima) a 58. Un anno di meno per ogni figlio fino a tre figli per le donne, 55 anni per i minatori, 51 per i minatori che lavorano in condizioni particolarmente logoranti.
Il tutto infischiandosene delle proteste della Confederación de empresarios privados de Bolivia, che avvertiva: “sarà insostenibile”. Tre anni dopo, sono stati invece i lavoratori inquadrati nella Central obrera boliviana (Cob) a protestare, in un contesto di scontro estremo, condito in stile boliviano con attentati dinamitardi e blocchi stradali. Il motivo: il governo non ce la faceva più ad assicurare che le pensioni fossero il 100% dell’ultimo stipendio e ha chiesto di abbassarle al 70%. “Se no”, aveva avvertito l’esecutivo, il modello “sarà insostenibile”. Il 22 maggio la Cob ha infine accettato, a patto che si riducessero gli anni di quotazione: per il momento si tratta solo di una tregua di 30 giorni, in attesa di un’intesa definitiva che potrebbe anche non esserci.
Aneddotica ma a suo modo significativa è la storia della rottura tra Evo Morales e l’attore Sean Penn, nominato lo scorso 30 ottobre “ambasciatore per le cause nobili della Bolivia”. Dopo aver partecipato assieme ai funerali di Chávez, tra i due è finita a insulti dopo che l’attore ha chiesto al Congresso Usa di opporsi all’inclusione della Bolivia nel percorso del prossimo Rally Dakar; il motivo è la detenzione di Jacob Ostreicher, un risicultore statunitense che aveva investito in un importante progetto in Bolivia e che è stato arrestato nel giugno del 2011 per riciclaggio di denaro sporco. Nel dicembre successivo è stato messo ai domiciliari in cambio di 14 mila dollari di cauzione, mentre vari funzionari coinvolti nell’azione contro di lui sono stati arrestati per estorsione. L’imprenditore nega ogni addebito e rimane ancora agli arresti, in attesa del processo. Penn ha detto che “un simbolo di libertà” come il Senegal, la cui capitale dà il nome alla celebre corsa, non deve passare per un paese dove “migliaia di prigionieri” vivono in “condizioni così selvagge che noi possiamo immaginarle solo in un incubo”.
Quanto al Venezuela, la rissa politica in corso nel paesedimostra come la statura dell’opposizione non sia granché superiore a quella del governo. Tuttavia, Maduro sta dimostrando una drammatica incapacità nel ricoprire il ruolo che ha assunto.
Mentre la penuria crescente di prodotti di prima necessitàha obbligato il governo a un tragicomico piano per assicurare ai venezuelani la carta igienica e più sondaggi dimostrano che ora Capriles vincerebbe eventuali nuove elezioni, divampa lo scandaloSilvagate. Mario Silva, l’anchormanpreferito da Chávez,in un audio tirato fuori dall’opposizioneè colto mentre dialoga con un presunto agente cubano della possibilità di un golpe fatto dall’ala militare del chavismo del presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello contro Maduro.
Il conduttore, famoso per inchieste demolitrici di esponenti dell’opposizione- probabilmente erano frutto delle soffiate dei servizi venezuelani e cubani – e per i suoi insulti, ha parlato di “complotto sionista” e “montatura”. Cabello e Maduro hanno sentito l’immediato bisogno di farsi vedere assieme e il programma di Silva, che era il preferito di Chávez, è stato soppresso.
L’opposizione ha annunciato che a breve sarà reso noto un secondo documento,dal carattere ancora più devastante, e che svelerebbe segreti inconfessabili sulla morte di Chávez.
Il governo è nervoso e promette azioni giudiziarie; Ismael García, deputato ex chavista che ha reso noto il video, ha ricevuto delle velate minacce alla propria incolumità fisica; inoltre, Caracas ha annunciato di voler armare “milizie operaie bolivariane”.
L’Alba è così di fatto decapitata, ma anche il Mercosur dopo l’ingresso del Venezuela è contagiato dalla sua instabilità. L’Uruguay vuole entrare a sua volta nell’Alleanza del Pacifico; il Paraguay è tuttora sospeso e tentato dall’Ap; in Argentina Cristina Kirchner festeggia i 10 anni dall’arrivo di suo marito al potere in uno scenario di contestazioni interne, affanno economico e sempre maggior scollamento dai partner del Mercosur.
Insomma, di fronte all’Alleanza del Pacifico restano in pratica solo il brillante Ecuador e il potente Brasile: ma costretti a giocare ognuno per conto proprio.
Per approfondire:L’Alleanza del Pacifico e la vera frattura dell’America Latina
Maurizio Stefanini,giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora conIl Foglio, Libero, Limes, Longitude, Agi Energia. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche. Ha scritto:I senza patria;Avanzo di Allah cuore del mondo. Il romanzo dell’Afghanistan;I nomi del male;Grandi coalizioni. Quando funzionano, quando no;Ultras. Identità, politica e violenza nel tifo sportivo da Pompei a Raciti e Sandri;Il partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e Mauro;Sesso & potere. Grandi scandali di ieri e di oggi. Ha scritto per Il Foglio una biografia di Fidel Castro in cinque puntate e una biografia di Hugo Chávez in venti puntate. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche.
(27/05/2013)